Chieti2016 - 711

“Sinodalità e Primato nel Primo Millennio”

Intervista a Piero Coda al termine della Commissione internazionale riunita a Chieti

 

Il preside di Sophia fa parte dal 2005 della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa Ortodossa, che ha tenuto la sua XIV sessione plenaria a Chieti tra il 16 e il 22 settembre scorso.

 

Quale percorso sta compiendo questo organismo?


La Commissione si era insediata nel 2005 per riprendere il cammino del dialogo teologico iniziato tra alterne vicende dopo il Concilio Vaticano II. Nel 2007 si era approvato a Ravenna un documento molto importante in cui la Chiesa Cattolica e la Chiesa Ortodossa convenivano che la sinodalità – e cioè il cammino insieme, con tutto il popolo di Dio – e il primato – inteso come servizio all'unità – sono due dimensioni interdipendenti nella vita della Chiesa che si ritrovano a tutti i livelli: a livello locale, a livello della comunione tra le Chiese in una regione e a livello della Chiesa universale.


Da Ravenna il Patriarcato di Mosca se n’era andato prima della conclusione dei lavori. Questa volta, invece, anch’esso ha firmato il documento conclusivo, intitolato “Sinodalità e Primato nel Primo Millennio. Verso una comune comprensione nel servizio all’unità della Chiesa”.


Sì, nel 2007 il Patriarcato di Mosca aveva abbandonato la sessione all’inizio dei lavori, ma non per motivazioni inerenti propriamente il dialogo, ma per questioni interne al mondo ortodosso, quindi il documento di Ravenna non porta la firma del Patriarcato di Mosca. Invece questa volta ha partecipato attivamente ed è tra i firmatari. Ma quest’ultimo documento approvato a Chieti non è stato firmato dal Patriarcato di Georgia.


Il Papa il 30 settembre prossimo è atteso proprio in Georgia e giungono notizie di manifestazioni contro la sua visita. Quali sono le riserve che hanno i georgiani?


Nel mondo ortodosso – come anche, per altri versi, nel mondo cattolico – vi sono frange, minoritarie, di opposizione all’apertura del dialogo ecumenico. La Chiesa di Georgia è particolarmente travagliata da queste difficoltà interne, per cui la delegazione della Georgia non si è sentita di approvare il documento non tanto per la sostanza del documento stesso, quanto per le ripercussioni sulla comunione all’interno della Chiesa ortodossa georgiana che poteva provocare una tale sottoscrizione.


Alcuni problemi erano già emersi in occasione del Sinodo Panortodosso tenutosi lo scorso giugno a Creta. A Chieti si è parlato di questa difficoltà?


No, le delegazioni delle Chiese Ortodosse, intenzionalmente, non hanno fatto riferimento esplicito al Sinodo Panortodosso e alle sue problematiche. Hanno però influito positivamente sull’esito del dialogo l’intesa profonda che si è manifestata in più occasioni tra Papa Francesco e il Patriarca Bartolomeo – pensiamo alla visita a Lesbo e alla partecipazione di entrambi, nei giorni stessi della sessione di dialogo, alla rievocazione della giornata di Assisi – e anche l’incontro a Cuba tra il Patriarca Kyrill di Mosca e Francesco, il che indica buone relazioni tra le due Chiese.

 


Quali sono state le conclusioni più significative dell’incontro di Chieti?


Il guadagno maggiore di questo documento – sulla linea di quanto già messo al sicuro a Ravenna – è il fatto che la Chiesa Cattolica e la Chiesa Cattolica a livello teologico riconoscono che nel primo millennio cristiano il vescovo di Roma ha esercitato un ministero di unità sul livello della Chiesa universale che non comportava una giurisdizione diretta sulle Chiese di Oriente. Questa situazione ecclesiologica si presenta come un modello ispirativo importante per ritrovare la pienezza dell’unità nel terzo millennio cristiano in cui ci stiamo inoltrando.


La Chiesa Cattolica aveva già fatto passi di apertura in questo senso. Potrebbe menzionarne alcuni?


L’apertura che, con il mondo ortodosso ha avuto il suo sigillo nell’abrogazione delle reciproche scomuniche tra Chiesa Ortodossa e Chiesa Cattolica, da parte di Papa Paolo VI e del Patriarca Atenagora, con il loro incontro, prima a Gerusalemme e poi a Costantinopoli, si è sviluppata sino alla sua espressione più forte, ossia quando nella “Ut unum sint” San Giovanni Paolo II ha dichiarato che il ministero del primato del vescovo di Roma – a cui la Chiesa Cattolica è fortemente legata – implica oggi una revisione delle modalità del suo esercizio. Papa Benedetto XVI già quando era cardinale, aveva affermato più volte che quanto era esperito nella Chiesa del primo millennio è ciò che oggi si può presumere necessario affinché si ristabilisca la piena unità.


Lei fa parte anche della Commissione di Studio sul Diaconato delle donne. Un’eventuale introduzione di questa figura nella Chiesa di Roma potrebbe intralciare il dialogo con i fratelli orientali?


Tutt’altro. Il diaconato femminile è stato oggetto di studio, già da alcuni decenni, all’interno delle Chiese Ortodosse; si tratta di una prassi considerata tradizionale, quindi non ci sarebbe alcun problema.

 

A cura di Piotr Zygulski

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